Pizzo Calabro

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La Storia

Pizzo è un borgo sulla costa tirrenica calabrese, arroccato su di un promontorio al centro del Golfo di Sant’Eufemia.
Il suo territorio comprende una costa frastagliata, contraddistinta da spiagge sabbiose, in alcuni tratti e da scogli in altri.
Sulla costa Nord Est, dalla pineta Mediterranea fino alla rocca si estendono quasi 9km di ampie spiagge. Al termine della contrada Marinella si alza la montagna di Vibo, che fa da cortina al territorio, che ha il suo confine con Maierato e Vibo Valentia in alto, sul crinale delle colline. Più a Sud, dove si innalza il masso tufaceo su cui nasce e si sviluppa Pizzo, la costa diventa rocciosa con numerose calette e zone ricche di scogli naturali, nonché diverse grotte, fra cui la Grotta Azzurra, riaperta negli ultimi anni, dopo vari interventi per la protezione dal moto ondoso.
Secondo alcuni storici Pizzo è stata fondata da Nepeto ai tempi dell’antica Grecia. Ma non c’è nessuna evidenza di ciò, anche se localmente qualcuno usa per motivi commerciali la dizione Napitia “napizia”, e la voce “napitini” per gli abitanti di Pizzo.
Il nome Pizzo (becco d’uccello, punto sporgente) si attaglia perfettamente al promontorio che sporge sul mare, elevandosi dalla foce del fiume Angitola, fino alla spiaggia della Marina, dove fu collocato nel XV secolo anche il piccolo forte Aragonese.
Il castello fu costruito nel 1492 per volere di Ferdinando I d’Aragona re di Spagna, che in quell’anno sposò Isabella di Castiglia unificando sotto di sé tutta la Penisola Iberica.
Il castello Aragonese è un luogo molto importante in quanto al suo interno fu tenuto prigioniero e in seguito condannato a morte Gioacchino Murat, re di Napoli e cognato di Napoleone Bonaparte.
Murat venne fucilato il 13 ottobre 1815, fu poi sepolto nella chiesa di San Giorgio.
Il castello è una struttura quadrangolare imponente, da un lato a picco sul mare, e dall’altro circondata da un profondo fossato, dalle mura particolarmente spesse in perfetto stato di conservazione.
Al suo interno è custodito un residuo di una scultura di Antonio Canova (l’originale fu distrutta durante il passaggio di Giuseppe Garibaldi) ed è la sede del museo Murattiano.
La posizione privilegiata e il castello favorirono la crescita del borgo marinaro, anche per la fortunata attività di pesca del tonno.
I Borboni fecero qualche intervento per Pizzo, e c’è traccia del viaggio del 1854 del Re Ferdinando II, che venne in Calabria con l’esercito napoletano in esercitazione armata. Una notte il Re era rimasto impantanato alla foce del fiume Angitola, ed i Pizzitani gli offrirono ospitalità.
Pizzo Calabro è altresì famosa per la Chiesa Matrice di San Giorgio che si trova al centro del Paese, in stile barocco. All’interno della chiesa si trova una statua attribuita a Pietro Bernini raffigurante San Giovanni Battista.
Altra Chiesa importante è la cosiddetta Chiesa del Purgatorio, del 1651, è anche detta “dei Morti” per via della cripta, che ospita una fossa sotterranea di tumulazione.
Invece la Chiesa più antica di Pizzo è la Chiesa della Madonna del Carmine risalente al 1579, ove si trovano numerosi affreschi tra cui quelli dedicati alla Madonna del Carmine e a Santa Rita da Cascia.
Importante è anche il convento dei padri minimi di San Francesco di Paola, risalente al 1579.
Simbolo di Pizzo è sicuramente la Chiesa di Piedigrotta scavata nella roccia arenaria da naufraghi napoletani alla fine del Seicento.
Si tramanda la leggenda di un naufragio – sebbene non esistano fonti scritte – avvenuto intorno alla metà del ‘600: una violenta tempesta sorprese nel Golfo di Sant’Eufemia un veliero con equipaggio napoletano, i marinai, temendo per la loro vita, cominciarono a pregare, rivolgendosi alla Madonna di Piedigrotta, la cui effigie era custodita nella cabina del capitano. Fecero voto alla Vergine che, in caso di salvezza, avrebbero eretto una cappella in suo onore.
La nave si inabissò e i marinai riuscirono a salvarsi, raggiungendo a nuoto la riva.
Gli unici resti del veliero, giunti sul bagnasciuga, furono il quadro della Madonna di Piedigrotta e la campana di bordo datata 1632.
I naufraghi, ormai salvi, pronti a mantenere la promessa data, scavarono nella roccia una piccola cappella e vi collocarono la sacra immagine.
Alla fine del 1800 un artista locale, Angelo Barone affascinato dai racconti dei marinai di Piedigrotta decise di lasciare il proprio lavoro e dedicarsi all’ampliamento della grotta.
Dopo averla ingrandita, l’artista scolpì su grossi blocchi di roccia statue raffiguranti la vita di Gesù e dei Santi.
Barone si dedicò alla sua impresa sino alla morte.
La Chiesetta di Piedigrotta è una delle mete preferite dai turisti in Calabria.

Oltre le attrazioni artistiche e naturali di rara bellezza, Pizzo è famosa in tutto il mondo per la lavorazione del tonno, importanti i marchi come “SARDANELLI” e “CALLIPO”.

Il Tartufo

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Il tartufo di pizzo è stato il primo gelato in assoluto a ottenere la denominazione IGP (Indicazione Geografica Protetta).
La sua forma irregolare e il gusto morbido sono inconfondibili, così come la sua particolare storia.
La sua invenzione risale a circa 60 anni fa quando Don Pippo De Maria, pasticcere messinese, realizzò il prototipo di quello che sarebbe diventato uno dei dolci di eccellenza della tradizione dolciaria calabrese.
La storia narra che Don Pippo, impegnato nei preparativi di un matrimonio all’interno del Castello Murat si trovò a confezionare numerosi gelati per gli invitati senza avere delle forme.
Allora fece ricorso alla sua inventiva: sovrappose nell’incavo della mano due porzioni di gelato, una alla nocciola e una al cacao e all’interno inserì del cioccolato fondente fuso.
Avvolse tutto con un foglio di carta alimentare e lo mise a raffreddare.
Ne uscì fuori un blocchetto solido che poi fu servito con cacao in polvere; in quell’occasione il dolce riscosse molto successo tra i commensali.
Prese il nome di “tartufo” e divenne subito famoso.
Il metodo artigianale nel corso degli anni non è cambiato, nonostante le nuove tecnologie, il tartufo si fa ancora nello stesso modo: due palline di gelato, nocciola e cioccolato, vengono modellate nel palmo della mano a forma di semisfera, con una leggera pressione si scava un buchetto all’interno per aggiungere una colata di cioccolato fondente fusa, senza conservanti ed additivi. A questo punto il gelato viene messo nell’abbattitore per tre ore e poi nella cella frigorifera.
Il segreto per ottenere un buon tartufo di Pizzo sta tutto nel chiuderlo.
A rendere unico ed inimitabile il tartufo di Pizzo sono la qualità degli ingredienti e l’utilizzo di macchinari molto antichi.
Con il passare del tempo sono stati aggiunti altri gusti a quello tradizionale.
Gli ingredienti fondamentali sono: gelato di nocciola, gelato al cioccolato, composto di cacao e cacao in polvere.
È ammessa all’interno la farcitura con delle ciliegie sciroppate.
L’infarinatura esterna può essere fatta solo con il cacao o con cacao e zucchero semolato.
Non sono ammessi, per il vero tartufo IGP, l’utilizzo di coloranti, conservanti chimici o naturali e di altre sostanze, né di latte in polvere, concentrato, e né di prodotti liofilizzati.

La base per la preparazione del gelato alla nocciola e al cioccolato è composta dalla miscelazione di ingredienti semplicissimi, come latte intero, zucchero, tuorlo di uovo fresco, scorza di limone, cacao in polvere, vaniglia e cannella, e pasta di nocciola pura al 100%.
Il tartufo di Pizzo è stato riconosciuto come prodotto IGP tramite Gazzetta Ufficiale n° 288 del 12.12.2007.